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In mezzo al fango, per parlare di hábitat…

La Red Hábitat Argentina, integrata da cooperative, abitanti di villas (accampamenti informali, favelas) e docenti universitari, celebró il giorno 5 di ottobre il Giorno Mondiale dell’Habitat. I suoi integranti reclamano partecipazione delle organizzazioni nella costruzione delle abitazioni popolari.

Basta allontanarsi un po' dal centro di Buenos Aires o delle altre città principali della zona del conurbano bonaerense per notare che il déficit abitazionale é una realtá segnata dal fango, lastre di ferro e cartone nelle villas e negli accampamenti. Basta prendere il treno a Retiro – a pochi metri dall’hotel Sheraton e dalla Villa 31 – e scendere nella stazione di José Leon Suarez – a 300 metri dell’accampamento 13 di Luglio – per provarlo. Fino a lì sono arrivati rappresentanti di organizzazioni di cittadini di accampamenti e villas di tutto il paese, docenti universitari coinvolti nel tema e rappresentanti del potere legislativo, tutti riuniti dalla Red Habitat Argentina per celebrare il Giorno Mondiale dell’Habitat. Gli accademici distribuirono un “manuale di urbanismo” ai cittadini, gli assistenti dei senatori e diputati hanno raccolto firme per il progetto di Legge nazionale sull’habitat sociale e i cittadini hanno intercambiato le loro esperienze nelle assemblee regionali preparatorie per la Assemblea Mondiale degli Abitanti e la speranza che la loro esperienza sia ascoltata dallo stato per risolvere il problema.

Una volta arrivati alla stazione di Jose Leon Suarez si cammina costeggiando i binari per la strada San Martin fino a che il cemento si trasforma in fango e la strada finisce di fronte ad un piccolo corso d’acqua che ha il nome della cittá. Ai lati, con piú immondizia che acqua, appaiono le prime casette, con piú abitanti che spazio disponibile. Fango, galline, carri e cavalli piú avanti, il fondo del canale si divide e il terreno sopra il quale stanno le casette si apre in due o tre file disordinate. Nel mezzo, la piccola casa fondatrice del 13 di luglio é delle figlia di Estela Belizan, che nel 2005 é venuta a cercare un luogo per poter far crescere sua nipote. Estela é co-organizzatrice dell’incontro di cittadini e accademici e dopo un po' comincia a distribuire da bere ai presenti che stanno discutendo sul prato di una casa di mattoni.

“La popolazione di questa zona é composta da familie giovani che in maggioranza sopravvivono della raccolta di cartone per le strade. Da sei mesi sono riusciti a farsi istallare luce con un contatore comunitario che paga il comune (di General San Martin), anche se la gente vuole avere un contatore proprio e pagare, però visto che non é organizzata la divisione delle proprietà non si può”, ha spiegato Estela ad un cittadino patagonico, integrante della commissione di lavoro di Bariloche. La riunione si svolge nel patio, dietro al Ceamse (organismo responsabile dei rifiuti nella città) e al lato dei depositi della ex línea ferroviaria Mitre.

Norberto Rodriguez spiega quello che succede nel sud del paese. “A Bariloche, già non ci sono più terre statali. Tutto é già venduto: i il governo non ha terra da dare alla gente.Perciò la gente occupa terreni privati, e ciò provoca tensione tra i cittadini che anni fa hanno dovuto pagare. Per questo, organizziamo spazi di dialogo.”

Nella città di Buenos Aires, anche se la Costituzione locale garantisce “abitazione dignitosa e hábitat adeguato”, non é facile farlo rispettare. Jaime Cossio forma una delle 519 cooperative che funzionano nella città ed é stato preso alla fine del 2008 quando insieme ad altre cooperative hanno occupato l’Istituto che si occupa della situazione abitativa (IVC) per riuscire a cambiare lo zero nei fondi destinati al programma.

Che i dati sul deficit non bastino ad analizzare la problemática non significa che il problema non sia federale. Per questo, la Red Hábitat e un comitato di cittadini sta lavorando con la senatrice Maria Rosa Diaz, e le deputate della Commissione sulla situazione abitativa. Il progetto di legge nazionale di Habitat Sociale, sul quale si sta lavorando, punta a risolvere il déficit abitativo come politica di stato integrata a politiche sociali ed economiche, a garantire la partecipazione delle organizzazioni nel disegno, esecuzione, valutazione e controllo dei programmi, includere il concetto di “funzione sociale della proprietà”. Per questo, sottolinea la necessità di aumentare la partecipazione finanziaria del sistema abitativo di quasi il 200%: rappresenterebbe un 2% del PIB. Mentre si discute il progetto, l’aiuto a villas e quartieri arriva dalle università. Karina Cortina e Javier Lombardi, del Laboratorio di Tecnología e Gestione Abitativa dell’Università Nazionale di La Plata, intercambiano conoscenze con i cittadini, mentre Viviana Asrilant e Gabriela Sorda, investigatrici della Facoltà di Architettura della UBA, vanno e vengono distribuendo il loro Manuale di Urbanismo per Accampamenti Precari – una guida pratica su come organizzare un quartiere in regola -, realizzato dopo aver fatto ricerche suii processi di formazione di varie villas e accampamenti.

“Il Piano Federale Abitativo ha assegnato molte case, però non risponde alle esigenze dei cittadini di villas e accampamenti che necessitano fondi per migliorare la qualità abitativa delle proprie case”, ha detto Sorda. Questi piani ufficiali, senza tenere in conto i quartieri emergenti, Asrilant osserva che “puntano alla consegna ‘chiavi in mano’ perché il lavoro lo fanno con imprese di costruzione ed é più facile che generare un proceso partecipativo.”

Per questo, le organizzazioni della Red Habitat si stanno preparando in plenari mensili per portare le proprie proposte di finanziamento alternativo alle assemblee regionali che si realizzeranno in Cile e Messico nel 2010 e l' Assemblea Mondiale degli Abitanti del 2011 a Dakar. “Dobbiamo unirci perché la società comprenda: tutti abbiamo diritto ad una casa dignitosa”, ha riassunto Ana Pastor, della organizzazione Madre Tierra.


Il(la) Traduttore(trice) Volontario(a) per il diritto alla casa senza frontiere dell’IAI che ha collaborato con la traduzione di questo testo è

Francesco Venturin

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